18 giugno 2008

Un matrimonio per bene



Da un po' di tempo avevo voglia di raccontare sul blog dei libri che, come direbbe Fatagatta, mi hanno "scritto dentro".
Ho deciso di iniziare da una lettura recente, molto cruda, che mi ha scosso profondamente.
Un matrimonio per bene, di Doris Lessing.
Ovvero la storia di come un matrimonio non dovrebbe essere (e di come io comunque spero che non necessariamente debba essere).
Sud Africa, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Martha Quest, diciottenne, fa parte del dorato mondo borghese dei coloni bianchi, di cui accetta le regole e il modello di vita, anche se già a livello inconscio ne avverte le contraddizioni.
Una volta arrivata al matrimonio (in modo quasi "automatizzato" e inconsapevole), comincia a soffrire la vacuità e l'assenza di stimoli della vita cui è destinata; tanto più che con suo marito divide solo il tempo di feste e gite in compagnia di altre giovani coppie e non quello delle scelte di vita più impegnative, cui lui in ogni momento cerca di sottrarsi (molto significativo è il momento in cui Martha si confronta da sola con il problema della scelta di un metodo contraccettivo e non trova nel marito alcun ascolto).
In questa condizione di solitudine, che comunque ha il merito di temprare il carattere e la personalità della protagonista, Martha compie la difficile scelta di portare avanti una gravidanza inattesa e indesiderata e di mettere al mondo la sua bambina, pur non sentendosi appagata dal rapporto di coppia.
Nel frattempo, scoppia la guerra e tutti i giovani uomini del villaggio corrono ad arruolarsi. Qui è molto interessante il modo in cui l'autrice indaga le ragioni VERE di questa decisione, al di là degli alti ideali dell'amor di patria, fondamentalmente adombrando l'ipotesi che a spingere tutti questi giovani verso il fronte siano soprattutto l'esigenza di dare un senso alla propria vita e il bisogno di fuga rispetto a una scelta familiare - il matrimonio - cui sono stati indotti ma non preparati.
Un po' come se affrontare una realtà drammatica come la guerra fosse comunque meno difficile di affrontare la realtà quotidiana di confronto e conoscenza di sé.
Mentre suo marito è al fronte, Martha fa dei passi avanti nella sua crescita personale; si appassiona alla causa delle persone di colore, che ancora vivono il dramma dell'apartheid. Si indigna rispetto alle paternalistiche e pietistiche iniziative delle "dame di carità", impegnate in un'ipocrita politica di elemosine ai neri del villaggio, prende le distanza dai consigli dati dalle donne più grandi (la madre, la suocera, la vicina di casa), che le vogliono dimostrare come la vita di una donna sia fatta solo per il matrimonio, la maternità, la sofferenza.
Quando il marito torna dal fronte, Martha ha la possibilità di toccare con mano cosa si nasconde dietro alla cortina dorata del mondo in cui è vissuta. Al pensiero di perderla, il marito si dimostra un bambino fragile e violento; minaccia prima di violentarla e picchiarla e poi non sa fare altro che chiamare in aiuto la madre, che corre da lui nell'intendimento di accudirlo e curarlo, come non ha saputo fare Martha, la donna "cattiva", la donna che non ha ubbidito alle regole di un matrimonio per bene.
Lasciamo Martha così, senza rimpianti, mentre parte in auto e guarda ormai senza nessun rimpianto ciò che resta del suo matrimonio per bene, ciò che resta di qualcosa che non è mai stato.

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